L'ondata dei pendolari si era esaurita e la mattina scorreva lenta tra i preparativi per il pranzo e le pulizie del locale. Al bancone un uomo alto, con indosso un impermeabile grigio, aveva ordinato un caffè. Un paio di tavolini erano occupati da signore con valigia intente a conversare. Io mi ero sistemato vicino alla vetrata. La colazione si era mescolata alle chiacchiere, Alfredo mi aveva ragguagliato sulle ultime novità e snocciolando un paio di aneddotti gustusi, poi mi aveva confidato, per la trecentesima volta, da quando lo conoscevo, che intendeva vendere tutto e trasferirsi a Cuba. Sorridendo gli avevo detto di riservare un posto anche a me. Mi ero alzato, gli avevo fatto un cenno di saluto e, sfilati un paio di fogli alla gazzetta, ero andato a sedermi sulla panchina di fronte ai binari. Lì mi sembrava di essere a un passo dal mondo, con una chiave in mano e desideri pronti per essere esauditi. Le gambe incrociate, dopo aver lanciato un occhiata al binario sei che segnalava un treno in partenza, mi stavo per tuffare nel calcio interregionale quando sentii battere su una spalla. Mi voltai svogliato e vidi, in piedi, dietro a me, mister trentatrè.
- Si?
-Posso sedermi?
-Prego c'è posto - accompagnai alle parole un gesto della mano e rimisi la testa nel giornale.Vi nascosi anche un sorriso spuntato a fior di labbra. Lo avevo incrociato nel bar di Alfredo. Era l’uomo dell’impermeabile, capace di girare trentatrè volte il cucchiaino nel caffè prima di accorgersi di aver dimenticato lo zucchero. Eppure sembrava uno con la testa sulle spalle.
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