Ripensavo a come era andata la mia vita. In mano avevo un quaderno vecchio e stanco riempito dei pensieri di chissà quanti anni prima. L’attenzione era ferma su una pagina che stavo rileggendo:
“Non ho bisogno di chiudere gli occhi. Sono lì, immersa nell'acqua.
Sulla pelle il caldo e il freddo si mescolano a seconda delle onde. Poco
distante vedo lo scoglio dove i pescatori si sistemano la mattina presto.
Quando il sole è alto diventa la meta dei ragazzini che vi stendono il loro
asciugamano. La spiaggia è a 2-300 metri da me, omini che si muovono e
gesticolano, bambini che giocano sul bagnasciuga. Gli ombrelloni colorati, uno
a fianco a l'altro compongono uno strano disegno. Il vociare delle persone, i
rumori giungono attutiti. A tratti sprofondo nel silenzio ovattato del mare.
Muovo le gambe per star su, a filo dell'acqua. Mi sembra di essere abbracciata,
una mano amica che mi sostiene mentre osservo ciò che mi circonda, in cielo
qualche gabbiano, una barca transita lontana. Mi resta il tempo di riflettere,
lasciar andare liberi i pensieri almeno fino a quando sento un fischio.
E' Il treno, sta passando veloce oltre il lungomare. Pigramente torno indietro,
attenta a non bere e a non farmi spostare dalla corrente.”
Ricordavo quel inverno. Un blog era diventato il rifugio dei miei pensieri. Avevo però conservato l’abitudine di riportare su carta quanto scrivevo on-line. Così quel diario che non avevo mai avuto la costanza di realizzare prendeva forma in quei mesi. Era una scrittura affrettata, segno di un incapacità che mi portavo dietro fin da allora. Gestire il tempo non era affar mio. Lo subivo, costantemente in ritardo come se la vita corresse troppo in fretta per me.
Sfogliando quel quaderno avevo la sensazione di compiere un viaggio a ritroso. Quel treno l’avevo perso. Così come la serenità. Presa da questa idea lo chiusi di colpo. Il primo desiderio era partire. Senza guardare ciò che lasciavo. Poche cose, con me solo la voglia di cambiare. Andai in camera, frugai nell’armadio dove avevo trovato i fogli. Tirai fuori da un angolo una valigia, l’avevo comprata quando avevo 18 anni. Mi sembrava di non poterne fare a meno, doveva diventare un punto di riferimento tra un trasloco e l’altro.
La previsione si era poi rivelata sbagliata. Avevo imparato ad adattarmi anche ai sogni rinchiusi nel cassetto, alla necessità di essere seria e responsabile. Era tanto che io e Paolo non ridevano insieme, non mi ricordavo neanche più perché stavamo sotto lo stesso tetto. Forse era abitudine. Un appoggio reciproco che era diventata una scomoda gabbia, fatta di lunghi silenzi.
Ora non più. Ciò che avevo cercato per anni, era lì in quelle pagine: una promessa non mantenuta.
Mi sedetti sul letto cercando di riflettere. Dovevo parlare con Paolo. Si, avrei aspettato la sera. Mi sarei data del tempo. Poi preparata la valigia, sarei stata pronta.
Volevo solo vivere... ma a modo mio.
Che strana impressione quando si ritrovano vecchi quaderni e ci si legge. A volte mi capita di chiedermi: ma sono io? E intanto la vita corre e ci sfugge; anch'io mi sempre in ritardo. ciao Giulia
Scritto da: Giulia | 17/02/2007 a 21:02
Hai ragione, si prova una sensazione particolare nel rileggere, a distanza di tempo, qualcosa che si è scritto.
Un caro saluto,
Pinky
Scritto da: pinky06 | 18/02/2007 a 23:45