Ci sono temi riguardo i quali è difficile dire cosa sia giusto o sbagliato. L'eutanasia è uno di questi. La lettera di Piergiorgio Welby affetto da distrofia muscolare ha riaperto la discussione su un argomento controverso nel quale si incontrano e scontrano valori civili e religiosi, ragioni del cuore, e ragioni della testa. Welby chiede gli sia data la possibilità di scegliere l'eutanasia, porre fine a quella che per lui non è più vita.
Credo sia necessario provare a mettersi nei panni di queste persone. Nei panni di persone che vedono giorno dopo giorno diminuire le cose che possono fare, vittime di malattie degenerative che lasciano poche speranze. E' comprensibile che a un certo punto nasca il desiderio di porre fine a questa vita. Può essere un pensiero dettato dallo sconforto di un momento, che la vicinanza dei propri cari riesce a far superare o può essere un pensiero coltivato giorno dopo giorno, tra una sofferenza e l'altra, quando non si vede più la speranza di un miglioramento.
Quale è il ruolo dello Stato in questi casi? Può lo Stato legittimare il suicidio assistito, l'eutanasia attiva o passiva? Tre tipi di intervento molto diversi. Può legalizzare la possibilità che un cittadino si tolga la vita o che gli venga tolta? Può stabilire fino a che punto la vita è vita e dove inizia invece a essere solo sofferenza? Sono interrogativi non facili che mettono a dura prova le credenze e i valori di ognuno di noi. Ogni caso è diverso, ogni persona concepisce l'dea di non sopportazione in maniera differente. Si deve tenere conto di questo aspetto importante. Tutelare il diritto alla vita anche quando questa diventa meno semplice. Il concetto di vita, di vita degna di essere vissuta non può essere oggettivizzato.
Una cosa mi sento di dire. Se un giorno dovesse essere approvata una legge riguardo l'eutanasia, la scelta dovrebbe essere fatta solo dal malato capace di intendere e volere. Nè lo Stato, nè i medici, nè la famiglia dovrebbero poter decidere al suo posto.
Dal sito wikipedia:
- L'eutanasia attiva è una azione che procura la morte, con intento caritatevole; per esempio, il soffocamento di un neonato gravemente cerebroleso, o la soppressione di un cavallo ferito. L'eutanasia attiva è un tema controversa; molti approcci (giuridici, morali, religiosi) negano che la si possa distinguere in modo sostanziale dall'omicidio. Anche da un punto di vista della deontologia medica, qualche complicazione concettuale sorge dalla non semplice riconducibilità dell'eutanasia attiva ai concetti fondanti della medicina, diagnosi e terapia.
- L'eutanasia passiva consiste nel non attuare più alcun intervento artificiale di sostegno alla vita e lasciare, ovvero interrompere l'"accanimento terapeutico". Questa forma di eutanasia rappresenta una situazione che, secondo alcuni punti di vista, è sostanzialmente diversa dall'eutanasia attiva, in quanto in questo caso la morte sovviene in modo "naturale".
- Il suicidio assistito consiste nel fornire a una persona i mezzi per suicidarsi in modo poco doloroso. A differenza dell'eutanasia passiva, la morte quindi non è naturale; ma a differenza dell'eutanasia attiva, colui che assiste il suicidio non partecipa direttamente alle azioni che portano la morte del paziente.
Non vedo grandi differenze concettuali fra eutanasia attiva e suicidio assistito, ma solo differenze riguardo all'agente materiale della morte. Che però potrebbero implicare gravu differenze anche riguardo al "mandante" (nel senso che, nel caso della eutanasia attiva - che in realtà è l'eutanasia vera e propria - potrebbe trattarsi di un terzo che stabilisce la morte).
Quella che chiami "eutanasia passiva" in realtà non è eutanasia, ma rinuncia alla azione del mantenimento artificiale in vita.
E' quella la differenza fondamentale. Per cui, è pacifico che rinunciare alla azione del mantenimento forzato in vita appare del tutto legittimo, mentre l'azione del togliere la vita appare comunque discutibile, specie quando stabilita da terzi (vedi il caso di Terry Schiavio, lo scorso anno negli Usa)
Scritto da: Biz | 25/09/2006 a 08:56
Ciao Biz,
ho ripreso le definizioni date su wikipedia. Considero piuttosto diversi eutanasia attiva e suicidio assistito concettualmente e moralmente. L'eutanasia passiva si può intendere come interruzione dell'accanimento terapeutico, mi sembra una cosa giusta non certo pacificamente accettato da tutti. Una terza persona non penso abbia diritto di scegliere.
Pinky
Scritto da: pinky06 | 25/09/2006 a 18:02
Mi sembra che consideriate l'eutanasia come un semplice gesto meccanico, senza considerare che esiste un problema di coscienza, oltre che di etica.
Scritto da: Guido | 25/09/2006 a 22:22
Cara Pinky, sono favorevole all'eutanasia e non sono d'accordo con chi dice che in questo caso si tratta di accanimento terapeutico e basterebbe sospendere le terapie, cosa che il malato ha il diritto di chiedere. Sospendendo semplicemente le terapie, il malato soffrirebbe atrocemente e quindi non si tratterebbe più di eutanasia ma di tanasia tout court. Mentre un malato ha il diritto di spegnersi dolcemente senza soffrire. Perché rifiutare agli umani la sorte che per amore riserviamo ai nostri pets? Tanto più che, come giustamente osservi, gli umani possonono chiederla esplicitamente.
dragor (journal intime)
Scritto da: dragor | 25/09/2006 a 23:08
Ciao Guido, mi dispiace se leggendo il post hai avuto questa impressione. Penso la coscienza e l'etica siano due aspetti importanti. Bisogna rispettare la dignita delle persone. La scelta su cosa fare è e rimane difficile.
Pinky
Scritto da: pinky06 | 27/09/2006 a 00:22
Ciao Dragor, comprendo la tua idea e allo stesso tempo l'idea dell'eutanasia, il somministrare a una persona un farmaco per farlo morire mi fa effetto, per certi versi paura.
un caro saluto
Pinky
Scritto da: pinky06 | 27/09/2006 a 00:25