Gianni non ha mai visto il figlio Paolo, ha lasciato che crescesse con gli zii. La madre è morta durante il parto e il neonato, salvato all'ultimo, è disabile. Paolo ha 15 anni, deve essere curato in Germania. Lo zio Alberto convince Gianni a accompagnarlo.
Il film è la storia di un viaggio, metafora della vita. Viaggio come percorso di conoscenza tra un padre e suo figlio. Gianni e Paolo partono in treno. Gianni ha una moglie e un altro figlio di pochi mesi. Iniziano a parlare, l'uomo ha modo di conoscere un aspetto del carattere del figlio, quel figlio che si sposta appoggiandosi con un bastone e rivendica la sua autonomia, il suo volere fare da solo. Gianni non sa come comportarsi, come rapportarsi a lui. Paolo ha un modo tutto suo di estraniarsi dai problemi, dalle difficoltà. Dice che vuole tornare a casa, snocciola l'indirizzo e il numero di telefono, dice al suo interlocutore: "Tu non ti rendi conto di quante cose ho da fare". Le elenca, attività che a causa del suo handicap non può fare. Ogni movimento gli costa impegno, fatica. E’ un peso non poter fare le cose che fanno gli altri bambini. Prevale in Paolo la gioia di vivere, nonostante queste difficoltà lui va avanti, segue la sua strada. Gli sono state affidate le chiavi di casa. Per lui sono un segno di fiducia di cui va fiero. Arrivano in Germania, la non conoscenza del tedesco diventa una barriera che li isola dal resto del mondo. Vanno in clinica. Li si apre uno spiraglio sulla sofferenza. Lunghi corridoio, le persone li percorrono quasi come anime isolate. Gianni conosce Nicole, madre di una ragazza disabile. La donna si dice sorpresa di vederlo lì. Di solito quel mestiere sporco, il seguire i figli nella riabilitazione, tocca alle madri, i padri prima o dopo rinunciano. La donna si rivela un punto di riferimento, lo aiuta a comprendere il figlio. Lui non le dice subito di essere il padre, lei lo capisce dal modo in cui Gianni si comporta. Lo sguardo apprensivo, imbarazzato come di chi deve scusarsi con qualcuno del disturbo. Un giorno Paolo scappa, prende il tram. Gianni con l'aiuto di Nicole ritrova il bambino. La donna gli dice che per Paolo la sua malattia rappresenta per certi versi una difesa rispetto al mondo che lo circonda, ci saranno altre fughe e il padre se vorrà stargli vicino dovrà prepararsi a soffrire. Gianni è preoccupato, pensa alle difficoltà che il bambino incontrerà quando sarà adulto. Le chiede come fa a essere sempre così serena. Nicole risponde che ciò è avvenuto con il tempo. Ha imparato a guardare alle piccole cose, senza dar troppo peso al futuro. Gli dice che Paolo è fortunato rispetto ai pazienti che si trovano nell'ospedale. Nicole quando accudendo la figlia vede nei suoi occhi uno sguardo disperato, si chiede perchè non muore. Una verità agghiacciante che fa fatica ad ammettere e la rende umanamente fragile. Si separano.
Gianni parte con il figlio per la Norvegia, vuole fargli conoscere Kristine, una amica di penna. Progetta di farlo vivere con lui, è preso dall’entusiasmo per il rapporto che è riuscito a istaurare con Paolo. Sente di aver conquistato il suo affetto. Stanno viaggiando su un auto, in una distesa di terra in cui non c'è anima viva. Il ragazzino chiede al padre di guidare, viene accontentato. Non ascolta i suoi consigli. Gianni lo sgrida e Paolo si estrania. Gianni ferma l'auto scende e piange, il figlio lo segue, gli dice che non deve fare così, cerca di consolarlo. L’uomo si scusa. In quel momento giunge la consapevolezza di come cambierà la loro vita che non sarà tutto facile ma che saranno in due a lottare. Questo essere uniti, li aiuterà ad andare avanti.
Ispirato a "Nati due volte" di Pontiggia è un film vero, sofferto, commovente a tratti divertente. Bravo Andrea Rossi, l'attore che interpreta Paolo e Kim Rossi Stuart (Gianni) alle prese con ruoli non facili che riescono a rendere con naturalezza. Non è un lieto fine classico, è un film che parla della vita e la vita non è quasi mai facile o scontata.
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